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si governi dall’apparenza»1. Lo sdrucciolo dell’errore è piú che mai facile in politica, perché ivi la veritá sostanziale delle cose è meno agevole a scoprire, atteso l’ampiezza, la profonditá e l’implicazione del soggetto; come quello che abbraccia una copia inestimabile d’idee e di fatti svariati, minuti, sottili, quali sono le nature dei particolari uomini e la tela moltiplice del loro consorzio. Perciò non è da stupire se i principi e i popoli non ci sogliono far buona prova; se non molti dei primi somigliano a quel Ludovico che «seguitò sempre piú la sostanza che l’apparenza delle cose»2, e pochi dei secondi ai romani antichi che «tenevano conto delle forze e non delle vanitá dell’imperio»3. E siccome ogni volta che sopra un punto qualsivoglia il falso e il vano ha vista di sodo e di vero, questo di necessitá ha mostra di vano e di falso, gli spiriti superficiali e non superiori al tempo in cui vivono lo ripudiano senza esame. Di qui nasce che la veritá vien combattuta a nome del comun senso, benché in effetto questo non le ripugni se non in quanto partecipa del volgare. Di qui anco procede che gli errori politici non sono perpetui, perché la ragione e piú ancora l’esperienza scuoprono a molti lo sbaglio e li fanno ricredere. Ma questi disinganni individuali non profittano alla moltitudine e non prevalgono nell’opinione se non a poco a poco; onde i popoli sogliono discorrere per una sequenza di concezioni diverse, che si succedono di mano in mano e che, se bene sono fallaci, si vanno però accostando al vero, perché via via sormonta il sentimento della realtá e scema il prestigio delle somiglianze. Cosí l’opinione pubblica procede di bene in meglio, e col decrescere della cognizione ipotetica e chimerica aumenta la scientifica e pratica; salvo che certi spiriti torti ovvero ostinati mai non si convertono, e trovando seguaci nei loro simili, le sètte sofistiche possono essere eterne. E veramente la buona politica ha le sue eresie e scisme non meno che la religione;

  1. Quares., 38.
  2. Guicciardini, Stor., i, i.
  3. Tac., Ann., xv, 31.