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– III. –


che si prefigge, dalle consuete pene medievali contro i bestemmiatori. Ai rei di tal fatta solevasi per lo più togliere o perforare la lingua; talora si legavano pel collo strettamente alle colonne del palazzo comunale, acciò che dalla bocca loro non uscisse mai più alcun’empia parola: «io non vo’ che più diche» .

Non occorre neanche aggiungere, tanto è di per sé evidente, come i reati comuni eran tenuti per più gravi, quando frammischiavasi qualche elemento religioso. Pel furto sacrilego basti ricordare l’esempio stesso di Vanni Fucci:

In giù son messo tanto, perch’io fui
Ladro alla sacrestia de’ belli arredi.

(Inf. XXIV, 136-139).


Piuttosto una parola di un altro reato della stessa categoria, sorto col Medio Evo cristiano: l’eresia.1.

«Dante paga qua il tributo allo spirito del suo tempo» esclama, quasi sorpreso, l’Ortolan2.

E come poteva essere altrimenti? Forse che il poeta, rigidamente ossequente ai dogmi

  1. Cfr. l’opera insigne di F. Tocco, L’Eresia nel Medio Evo, Firenze 1884 e la bella conferenza Dante e l’eresia, Firenze 1900.
  2. Ortolan, o. c., p. 58.