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scomparso dalle legislazioni più civili: la bestemmia, e contro di questa i legislatori medievali comminavano pene esagerate, persino in taluni casi la morte.

Dante non fa dei bestemmiatori una classe a parte di rei, ma piuttosto, sembrami, uniformandosi alla tendenza generale, considera la bestemmia come l’espressione più disgustosa della depravazione umana. Dei dannati, affollantisi sulle rive d’Acheronte, per significare ch’essi iniquamente dispregiano i più alti doveri dell’uomo, dice:

Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,
L’umana specie, il luogo, il tempo e il seme
Di lor semenza e di lor nascimenti. (Inf. III, 103- 106).

E per nessun atto o parola d’alcuna «anima prava» egli sente così grande orrore, come per la bestemmia impudente del sacrilego Vanni Fucci. Tanto che si allieta della sollecita vendetta compiutane dalle serpi:

Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
Perch’una gli s’avvolse allora al collo,
Come dicesse: «Io non vo’ che più diche».
                           (Inf. XXV, 4-8).

La pena immaginata da Dante per punizione del malvagio dispregiatore di Dio, è in fondo non dissimile, specie per lo scopo