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dell'impero romano cap. lxviii. 79

taccia di una sommessione così inconsiderata e plenaria, dicevano essersi riservati il diritto di rivederne l’atto in appresso; ma la migliore e più trista scusa ad un tempo che avessero, stava nel confessarsi spergiuri. Oppressi dai rimproveri di quei lor fratelli che non avevano tradita la propria coscienza, rispondeano lor sotto voce: „armatevi di rassegnazione anche per poco, aspettate di veder libera la città dall’immenso drago che spalanca la bocca per divorarci; ne saprete dire in allora se siam riconciliati davvero cogli azzimiti„. Ma la pazienza non è la prerogativa caratteristica dello zelo religioso, nè cortigianesca disinvoltura è bastante a frenar la violenza del popolare entusiasmo. Persone d’ogni classe e d’entrambi i sessi si trasportarono in folla dalla chiesa di S. Sofia alla celletta del frate Gennadio1, affine di consultare nel gran frangente que-

    ed alcuni Vescovi, Commissarj de’ rimasti in Oriente, tanto al Concilio di Lione, che a quello di Firenze, non si unirono momentaneamente nella credenza co’ Latini, ammettendo nel Credo ec. l’aggiunta filioque, usando nel tempo de’ due Concilj il pane azzimo e riconoscendo il primato del Vescovo di Roma, ed ammettendo il purgatorio ed altre cose, che per avere soccorsi contro i Turchi, che minacciavano perfino Costantinopoli; l’unione nella credenza fra Cristiani-greci e Cristiani-latini, durò come quella dei loro Vescovi ne’ due detti Concilj; i Vescovi greci, nell’aderire a’ Latini per bisogno, non furono sinceri; il fatto lo provò, perchè andati alla loro patria, la divisione nella credenza tornò, e dura anche oggidì e durerà. (Nota di N. N.)

  1. Il nome secolare di lui era Scolario, al quale sostituì l’altro di Gennadio nel vestir la cocolla, ovvero nell’atto di divenir Patriarca. Essendo quell’istesso che avea difesa a Firenze cotesta unione, perseguendola poi a Costantinopoli con