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dell'impero romano cap. lxxi. |
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di notte tempo commettersi, Eugenio IV lo cinse di mura, concedendone, mediante una patente durata per lungo tempo, il terreno e l’edifizio ai monaci di un vicino convento1. Dopo la morte del ridetto Pontefice, essendo stato questo muro, per cagione di una sommossa, atterrato, il popolo protestò, che il Colosseo non sarebbe mai più per l’avvenire diventato particolare proprietà, protesta che avrebbe meritato encomj ai Romani, se veramente avessero rispettato questo nobile ricordo della grandezza de’ loro padri. Nella metà del secolo XVI, epoca del buon gusto e della erudizione, la parte interna del Colosseo trovavasi danneggiata; ma intatta erane la circonferenza esterna, lunga mille seicentododici piedi; e vi si vedevano innalzarsi a cento otto piedi tre ordini di logge, ciascuno di ottanta archi. Vuolsi imputare ai nipoti di Paolo III lo stato rovinoso cui presentemente è ridotto il Colosseo, e tutti i viaggiatori che vanno ad esaminare il palagio Farnese non possono starsi dal maledire il sacrilegio e il lusso di cotesti uomini oscuri pervenuti al principato2. Vien fatto eguale rimprovero ai Barbarini,
- ↑ Eugenio IV ne fe’ donazione ai Monaci olivetani, come lo assicura il Montfaucon, fondandosi sopra le Memorie di Flamminio Vacca (n. 27); questi Monaci, egli dice, speravano sempre di trovare un’occasione favorevole per far rivivere un tal diritto.
- ↑ Dopo aver misurato il priscus amphitheatri gyrus, il Montfaucon (p. 142) si contenta d’aggiugnere che all’avvenimento di Paolo III era tuttavia intatto; tacendo clamat. Il Muratori (Ann. d’Ital., t. XIV, p. 372) si spiega con maggior libertà sull’attentato del Pontefice Farnese e sull’indignazione del popolo romano. Contro i nipoti di Urbano VIII