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dell'impero romano cap. lxxi. | 323 |
colpi dell’ariete infransero le mura, le torri furono avvolte in mezzo a vortici di fuoco e di fumo, e l’avidità e il risentimento aizzavano l’ardore degli assedianti„. La tirannide delle leggi compì l’opera della distruzione, e le diverse fazioni della Italia, abbandonandosi a cieche e sconsigliate vendette, spianarono a vicenda tutte le case e le castella de’ loro avversarj1. Se pongonsi a confronto pochi giorni di straniere invasioni e secoli d’intestine guerre, non cadrà dubbio sul quanto le ultime sieno state alla città di Roma esiziali; a sostegno della quale opinione mi viene all’uopo citare il Petrarca. „Vedete, egli dice, questi avanzi che attestano l’antica grandezza di Roma! Nè il tempo, nè i Barbari superbir possono di una tanto incredibile distruzione; è forza attribuirla agli stessi cittadini di Roma, ai più illustri fra’ suoi figli; e i vostri antenati (egli scrivea ad un Nobile della famiglia Annibaldi) compierono coll’ariete quel che l’Eroe Cartaginese non potè colla spada de’ suoi guerrieri„2. La preponderanza di quest’ultima cagione aumentò il danno con azione reciproca, perchè la rovina delle
- ↑ La sesta legge de’ Visconti abolì questa funesta usanza, prescrivendo severamente di conservare pro comuni utilitate le case de’ cittadini messi in bando (Galvaneus, nel Muratori, Script. rer. ital., t. XII, p. 1041).
- ↑ Tali cose scriveva il Petrarca al suo amico, che arrossendo e piangendo additavagli, maenia, lacerae specimen miserabile Romae, e annunziava l’intenzione di restaurarle
t. I, p. 427-431) ne fa sapere che venivano sovente adoperati sassi del peso di due o tre quintali; qualche volta persino di dodici, o diciotto cantari di Genova (ogni cantaro pesa cinquanta libbre).