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dell'impero romano cap. lxxi. 307

non giunsero, rimangono soli in mezzo ad un vôto spazio, nè corrono ulteriore pericolo. – La situazione di Roma la espone in oltre ad innondazioni frequenti. Il corso de’ fiumi che discendono dall’uno e dall’altro lato dell’Appennino, non eccettuandone il Tevere, è irregolare e poco lungo; basse le loro acque durante l’ardor della state, le piogge o il didiacciar delle nevi li gonfiano nella primavera, o nel verno, e in torrenti impetuosi traboccano. Giunti al mare, se il vento li rispinge, e divenuto incapace di contenerli il lor letto, rompono ed allagano senza ostacolo le pianure e le città de’ dintorni. Poco dopo il trionfo che celebrò le vittorie riportate nella prima guerra punica, avendo le piogge straordinarie ingrossato il Tevere, un traboccamento più durevole e più esteso di quanti se ne erano dianzi veduti, distrusse tutte le fabbriche poste al di sopra delle colline di Roma. Diverse cagioni ricondussero gli stessi guasti, e giusta la natura della parte di suolo innondata, gli edifizj o vennero trasportati dal subitaneo impulso della corrente, o lentamente sciolti e scavati dallo stagnamento dell’acque1. Eguale calamità essen-

  1. A. U. C. 507, repentina subversio ipsius Romae praevenit triumphum Romanorum.... diversae ignium aquarumque clades pene absumpsere urbem. Nam Tiberis insolitis auctus imbribus et ultra opinionem, vel diurnitate vel magnitudine redundans, omnia Romae aedificia in plano posita delevit. Diversae qualitates locorum ad unam convenere perniciem; quoniam et quae segnior inundatio tenuit madefacta dissolvit, ei quae cursus torrentis invenit, impulsa dejecit (Oros., Hist., l. IV, c. 11, p. 244, edizione Havercamp). Fa d’uopo osservare che lo Storico cristiano si studiava d’ingrandire i disastri del Mondo pagano.