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dell'impero romano cap. lxx. |
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stato soggetto di censura a’ Teologi, del pari che a’ Politici, ed a’ Filosofi. I primi non la credeano legittima stando alla lettera del Vangelo: agli altri non piaceva il vedere in certo modo invilita l’antica maestà della padrona del Mondo, e rimembrando i suoi Consoli, i suoi trionfi, le sue glorie, trovavano troppo dissimile, e basso un Governo sacerdotale. Pure calcolando a mente tranquilla i vantaggi e i difetti di questo, si debbe dare le debite lodi ad un’amministrazione decorosa e pacifica, non soggetta ai pericoli d’una minorità, o agl’impeti d’un giovane Principe, non rovinata dal lusso, non esposta per sè medesima ai disastri di lunghe guerre. Bensì non è dessa esente dalle vicende di successioni frequenti, e rinovate in breve periodo, di Sovrani rade volte originarj di Roma, spesso in età senile; e più spesso inesperti della politica, privi per lo più della speranza di vivere tanto da terminare opere grandi, e del conforto di avere successori che sien partecipi de’ loro alti pensieri, o capaci d’emularli. Tratti sovente dalla solitudine de’ chiostri, deggiono di leggieri per la ricevuta educazione, e per l’acquistata consuetudine di vita essere estranei a idee mondane, a cure d’alti affari, troppo aliene dall’austerità e dalle massime d’una religione contraria alle passioni del secolo e all’ambizione del dominio. Può per altro nelle nunziature specialmente avere attinta qualche cognizione di Mondo, ma difficilmente sapranno lo spirito e i costumi d’un Ecclesiastico trasformarsi quanto sarebbe d’uopo per uguagliare l’accortezza, ed il senno d’un Principe temporale. Non mancarono per altro, e forse non mancheranno a quando a quando gli esempj di Pontefici degni di stare al paragone coi