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dell'impero romano cap. lxx. | 281 |
dottore in legge, forestiere, e nato almeno ad una distanza di quaranta miglia dalla città, nè congiunto in parentado spirituale, o temporale, al terzo grado canonico, cogli abitanti di essa. Veniva nominato di nuovo a ciaschedun’anno; e uscendo di magistratura, ne soggiaceva a severo sindacato la sua amministrazione, nè era atto a rientrare in questa carica se non trascorreano prima due anni. Gli si pagavano tremila fiorini per le sue spese, e a titolo di stipendio. Mostravasi con una pompa degna della maestà della Repubblica, vestito d’un abito di broccato di oro, o di velluto cremisino, e nella state, di un drappo più leggiero di seta; tenea in mano uno scettro d’avorio; lo precedeano almeno quattro littori che portavano bacchette rosse avvolte in banderuole color d’oro, che era il colore della Città. Il giuramento, che giunto al Campidoglio egli prestava, indicavane gli ufizj e la podestà; era questo il giuramento di mantenere le leggi, di reprimere il superbo e proteggere il popolo, di amministrare atti di giustizia e di misericordia in tutto il territorio, ove la sua giurisdizione estendeasi. Avea per coadiutori tre forestieri istrutti, i due collaterali, e il giudice d’appello nelle cause criminali. Quelle leggi danno a divedere quanta bisogna doveano a questo somministrare i processi per delitti di furto, di ratto e di omicidio; e sì deboli erano coteste leggi, che sembra
l. III, c. 4, i Caporioni (lib. I, c. 18; l. III, c. 8), il Consiglio segreto (lib. III, cap. 2), il Consiglio comune (l. III, c. 3). Il titolo delle querele domestiche, delle disfide, e degli atti di violenza, ec., occupa molti capitoli (c. 14-40) del secondo libro.