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dell'impero romano cap. lxx. 255

il suo carattere d’independenza e di dignità, mostrando di secondare, come per propria scelta, l’ordine espresso del Pontefice che ad Avignone il volea. Se la mala condotta tenuta da esso nel tribunato aveva allontanato da lui l’animo del Petrarca, la sventura dell’amico presente riaccese la fervida sollecitudine del Poeta, che si dolse acerbamente, perchè il liberatore di Roma venisse in tal modo dall’Imperatore di Roma consegnato al Vescovo di Roma. [A. D. 1351] Il Rienzi fu condotto lentamente, ma con sicura scorta, da Praga ad Avignone, ove fece il suo ingresso a guisa di un malfattore; condotto in carcere, vi fu incatenato per una gamba; e quattro Cardinali ricevettero l’ordine di esaminarlo su i delitti di eresia e di ribellione, de’ quali veniva accusato. Ma il processo e la condanna del Rienzi avrebbero chiamata l’attenzione pubblica sopra tali argomenti, che prudente cosa era di lasciare sotto il vel del mistero; la supremazia temporale de’ Papi, il dovere della residenza in Roma, i privilegi civili ed ecclesiastici del Clero e del popolo romano. Il Pontefice regnante in allora, ben meritevole del nome suo di Clemente, sentì compassione per le sventure, stima per la grandezza d’animo del prigioniero; e crede inoltre il Petrarca ch’ei rispettasse in quest’uomo straordinario il nome e il sacro carattere di Poeta1. Divenuta più mite la prigionia

  1. La maraviglia, e quasi gelosia, del Petrarca è una prova, se non della verità di questo fatto incredibile, almeno della buona fede di chi lo racconta. L’abate di Sade (Mém. t. III, p. 242) cita la sesta epistola del lib. decimoterzo del Petrarca; ma egli ha consultato il manoscritto reale, non l’edizione ordinaria di Basilea (p. 920).