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254 storia della decadenza


Dopo un esilio di sette anni, il primo liberatore di Roma venne alla sua patria restituito. Salvatosi dal Castel Sant’Angelo, sotto panni di frate, o di pellegrino, corse ad implorare l’amicizia del Re d’Ungheria che in Napoli allora regnava; nè avea intanto mancato di eccitare l’ambizione di tutti i venturieri coraggiosi, ne’ quali a mano a mano scontrossi; era anche tornato a Roma, confuso tra la folla de’ pellegrini del Giubbileo; indi nascostosi fra gli eremiti dell’Appennino, avea poscia errato per le città dell’Italia, dell’Alemagna e della Boemia. Niun lo vedea, ma il suo nome inspirava ancora terrore; e le angosce in cui stavasi la Corte di Avignone, provano il merito personale di cotest’uomo, o giovano fors’anche a supporlo maggiore che nol fosse di fatto. Uno straniero che aveva ottenuta udienza da Carlo IV, ebbe il coraggio di manifestarsi per il Tribuno della romana Repubblica, e fece attonita un’Assemblea di Ambasciatori e di Principi coll’eloquenza di un patriotta, colle narrate visioni profetiche, coll’annunzio della prossima caduta dei tiranni e del Regno dello Spirito Santo1; ma di qualunque genere si fossero le speranze che confortarono il Rienzi a manifestarsi, certamente altro non si guadagnò che di essere custodito qual prigioniero; nondimeno sostenne

  1. Lo zelo di Polistore, l’Inquisitore dominicano (Rer. ital., t. XXV, c. 36, p. 819), ha, non v’è dubbio, esagerato queste visioni, non saputesi nè dagli amici, nè dai nemici del Rienzi. Se questi avesse affermato, che il Regno dello Spirito Santo sottentrava in vece di quello di Cristo, che la tirannide del Pontefice doveva essere abolita, non si sarebbe tardato a convincerlo di eresia e di ribellione, senza dar disgusto al popolo di Roma.