Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/236

230 storia della decadenza

politici del tempo a percotere con pena capitale tutti gli omicidj, a prescrivere il taglione per qualsisia ingiuria. Non essendovi da sperare una buona amministrazione della giustizia che dopo avere abolita la tirannide de’ Nobili, fu stabilito, che niuno, eccetto il supremo Magistrato, non avrebbe il possesso, o il comando delle porte, de’ ponti, o delle torri dello Stato; che niun presidio particolare verrebbe introdotto nelle città o castella del territorio romano; che niun privato avrebbe il dritto di portar armi, o di fortificar la sua casa, nè in città, nè in campagna; che i Baroni sarebbero eglino stessi mallevadori della sicurezza delle pubbliche strade, e dello spaccio libero delle derrate; che ogni protezione conceduta ai malfattori ed ai ladri verrebbe punita con una menda di mille marchi d’argento. Inutili però e ridicoli sarebbero stati questi regolamenti, se non gli avesse sostenuti una forza capace di tenere a freno la licenza de’ Nobili. Al primo momento di sospetto, la campana del Campidoglio potea mettere in armi più di ventimila volontarj; ma il tribuno e le leggi abbisognavano d’una forza più regolare e più stabile. In ciascun porto della costa, venne collocato un naviglio incaricato di proteggere il commercio. I tredici rioni della città somministrarono, vestirono, e pagarono a proprie spese una milizia permanente di trecensessanta uomini a cavallo, e di mille trecento fantaccini; e già si ravvisa lo spirito delle repubbliche nel donativo di cento fiorini, assegnato con decreto, come testimonianza dì pubblica gratitudine agli eredi de’ militari che pel servigio dello Stato avessero perduta la vita. Senza timore di comparire sacrilego, il Rienzi adoperò le rendite