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dell'impero romano cap. lxx. 225

o negli averi, mossi dalla gelosia, ingenita soprattutto ne’ Romani, sentivano più d’ogni ingiuria il disdoro bene spesso arrecato al pudore delle lor donne; erano oppressi parimente dall’arroganza dei superbi Nobili e dalla prevaricazione de’ Magistrati corrotti; e, giusta gli emblemi allegorici, per più riprese, e in diverse fogge comparsi sopra certe pitture che il Rienzi esponeva a pubblica vista nelle strade e nelle chiese, la sola differenza tra i cani e i serpenti consisteva in ciò che i primi abusavano dell’armi, delle leggi, i secondi. Intanto che la folla attratta dalla curiosità di questi quadri, stavasi contemplandoli, l’oratore pien d’ardimento, e sempre apparecchiato, ne svolgeva il senso, ne applicava la satira, accendea le passioni degli spettatori, e lasciava tralucere una lontana speranza di conforto e di liberazione. I privilegi di Roma, la sovranità di essa, eterna su i proprj Principi e le proprie province, erano, in pubblico e in privato, l’argomento de’ suoi discorsi. Un monumento di servitù divenne fra le sue mani un titolo di libertà, uno sprone a ricuperarla; intendo il decreto col quale il Senato concedea amplissime prerogative all’Imperator Vespasiano, inciso sopra una tavola di bronzo, che vedeasi tuttavia nel coro della chiesa di S. Giovanni di Laterano1. Il Rienzi convocò, per udire la lettura di un tale decreto, molto numero di plebei e di Nobili, ad accogliere i quali avea fatto preparare un chiuso recinto. Egli vi comparve vestito

  1. I frammenti della Lex Regia trovansi nelle Inscrizioni del Grutero (t. I, p. 242) e in fine al Tacito dell’Ernesti, con alcune dotte annotazioni dell’editore. (t. II).