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querele metteano in campo numerose bande di vassalli e di servi. Non li rannodava al loro paese o l’origine, o alcun sentimento di affetto1; onde un vero Romano avrebbe respinti lungi da sè questi superbi stranieri che, disdegnando il nome di cittadini, assumeano orgogliosamente il titolo di Principi romani2. Per una sequela di oscure rivoluzioni, le famiglie aveano perduti i loro archivj; aboliti erano i soprannomi; il sangue di diverse nazioni mescolato erasi per mille canali all’antico; e i Goti, e i Lombardi, e i Greci, e i Franchi, e i Germani, e i Normanni avevano dal favor del Sovrano ottenuti i più bei possedimenti, siccome un tributo meritato dal valore. È cosa facile da immaginarsi che non altrimenti accader doveano le cose; ma l’innalzamento di una famiglia di Ebrei al grado di Senatori e di Consoli è il solo avvenimento di sì fatto genere, che troviamo in mezzo alla lunga cattività di questi sciagurati proscritti3. Sotto il Regno di

  1. Nell’anno 824 l’Imperatore Lotario I si credè in necessità d’interrogare il popolo romano per intendere dai singoli individui, secondo qual legge nazionale intendevano di essere governati.
  2. Il Petrarca inveisce contro questi stranieri, tiranni di Roma, in una declamazione, o epistola piena di ardite verità, e di assurda pedanteria, che pretendeva applicare le massime ed anche i pregiudizj dell’antica Repubblica a Roma, qual trovavasi nel secolo decimoquarto (Mem., t. III, p. 157-169).
  3. Il Pagi (Critica, t. IV, p. 435, A. D. 1124, n. 3, 4) racconta l’origine e le avventure di questa famiglia di ebrei, traendo le sue testimonianze dal Cronographus Maurigniacensis, e da Arnulphus Sagiensis de Schismate (in Muratori, t. III, part. I, p. 423-432). I fatti debbono sotto al-