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dell'impero romano cap. lxix. | 185 |
Tuscolo, e stando ai calcoli i più autentici e i più moderati, tremila furono i morti, duemila i prigionieri. [A. D. 1234] Sessant’anni dopo, i Romani marciarono contro Viterbo, città dello Stato ecclesiastico, trovandosi in quella spedizione tutto il nerbo di Roma; e per effetto di una singolar lega, l’Aquila de’ Cesari videsi sventolare congiunta alle Chiavi di S. Pietro sugli stendardi d’entrambi gli eserciti; e gli ausiliari del Papa erano comandati da un Conte di Tolosa e da un Vescovo di Winchester. Obbrobriosa fu la sconfitta de’ Romani, che perdettero moltissimi di loro gente; se però è vero che il Prelato inglese abbia fatto sommare il numero de’ combattenti a centomila, e a trentamila quello de’ morti, la sola vanità di pellegrino gli poteva avere suggerita una simile esagerazione. Quand’anche rifabbricando il Campidoglio, fosse stato possibile il far risorgere la politica del Senato e la disciplina delle legioni, tanto era divisa l’Italia, che sarebbe stata lieve impresa il conquistarla per la seconda volta. Ma, ove parlisi di merito militare, i Romani d’allora non valeano più delle repubbliche circonvicine, alle quali erano poi inferiori nell’arti. L’ardor guerriero dei medesimi per breve tempo durava; e se talvolta secondavano qualche impeto di disordinato entusiasmo, ben presto ricadeano nel letargo, divenuto connaturale alla nazione, e trascurate le istituzioni militari, ricorreano per la loro difesa all’umiliante e pericoloso soccorso de’ mercenarj stranieri.
L’ambizione è un loglio che cresce di buon’ora e rapidamente nella vigna del Signore1; sotto
- ↑ I fatti su i quali l’Autore scorre colla sua solita ra-