Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/186

180 storia della decadenza

sono superflui; se ingiuste, divengono un delitto. Potete forse dubitare di mia giustizia? Questa si diffonde sopra l’ultimo de’ miei sudditi. Dopo avere restituito all’Impero romano il Regno di Danimarca, non saprò io difendere il Campidoglio? Voi prescrivete la misura e l’uso delle mie liberalità! Le spargo, è vero, con profusione; ma sono sempre volontarie. Tutto io concederò al merito rassegnato, tutto ricuserò alla importunità1„. Non poterono sostenere, nè l’Imperatore queste alte pretensioni di dominio, nè il Senato, le sue pretensioni di libertà. Federico, unitosi al Papa, e divenuto sospetto ai Romani, continuò il suo cammino alla volta del Vaticano; una sortita che i cittadini fecero dal Campidoglio turbò la coronazione; si sparse molto sangue; ma il numero e il valore degli Alemanni trionfarono; pure, ad onta di questa vittoria, Federico non si credette sicuro sotto le mura di una città, della quale s’intitolava Sovrano. Dodici anni dopo, volendo collocare un Antipapa sul trono di S. Pietro, assediò Roma, e dodici galee pisane entrarono nel Tevere; ma artifiziose negoziazioni, e un morbo epidemico che pose gli assedianti a tristo partito, salvarono il Senato ed il popolo, e d’indi in poi, nè Federico, nè i successori di lui, rinovarono sì fatta impresa. I Papi, le Crociate e l’independenza della Lombardia e dell’Alemagna, diedero ad essi cure bastanti. Cercarono anzi in lega i Romani, e fu allora che Federico II presentò il Cam-

  1. V. Ottone di Freysingen (De Gestis Frederici I, l. II, c. 22, pag. 720-723). Nella traduzione e nel compendio di questi atti autentici e originali, mi sono permesse alcune libertà, senza per altro discostarmi dal senso.