Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/182

176 storia della decadenza

figli e vassalli, e a non ascoltare le accuse de’ comuni nostri avversarj che dipingono il Senato siccome il nemico del trono di Vostra Maestà, seminando germi di discordia per raccogliere frutta di distruzione. Sire, il Papa e il Siciliano hanno stretta un’empia lega tra loro; vogliono opporsi alla nostra libertà, e alla vostra coronazione. Il nostro zelo e il nostro coraggio, ne sieno grazie all’Altissimo, hanno respinto finora il lor tentativo. Noi abbiamo prese d’assalto le case e le Fortezze delle famiglie potenti, e soprattutto de’ Frangipani, che a questi nostri nemici son dediti. Abbiamo soldati in alcune di queste rocche, altre ne abbiamo spianate. Il Ponte Milvio, che essi aveano rotto, e per opera nostra restaurato e munito, vi offre un varco; il vostro esercito può senza tema di essere molestato, dalla parte di Castel Sant-Angelo, introdursi nella città. In tutto quanto operammo fin qui, e in tutto quanto siamo per operare, non avemmo altro scopo fuor della vostra gloria e del servigio vostro, non dubitando noi che fra poco verrete voi stesso a ricuperare i diritti usurpati dal Clero, a far risorgere l’imperiale Dignità, a superare in rinomanza e splendore tutti i vostri predecessori. Possiate voi fermare la vostra residenza in Roma, nella Capitale del Mondo, dar leggi all’Italia e al Regno teutonico, e imitare Costantino e Giustiniano1, che mercè il vigore del Senato

  1. Noi desideriamo, diceano que’ Romani ignoranti, di restituire l’Impero in cum statum, quo fuit tempore Constantini et Justiniani, qui totum orbem vigore senatus et populi romani suis tenuere manibus.