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riero ad un tempo e uomo di Stato, e che unisse a proprio favore i suffragi della fama e della sua patria. Ad un tale uomo delegavano per un determinato intervallo, così in tempo di pace come in tempo di guerra, il Governo. Il Trattato fra il Governatore e la Repubblica che lo chiamava nel proprio seno, veniva corroborato da giuramenti e sottoscrizioni, e in esso regolavansi colla più scrupolosa esattezza i doveri scambievoli de’ contraenti, e la durata del potere, e l’ammontare dello stipendio da corrispondersi al Magistrato straniero. Giuravano i cittadini di obbedirgli, come a legittimo loro superiore, egli, di unire all’imparzialità di uno straniero quello zelo che avrebbe potuto pretendersi da un uomo nato in quella patria medesima. Chiamavasi Podestà1; e sceglieva egli stesso quattro, o sei Cavalieri o Giureconsulti che lo soccorressero nella guerra e nell’amministrazione della giustizia; il mantenimento della sua casa, ornata siccome convenivasi alla dignità, era a sue spese; non si permetteva nè alla moglie, nè ai figli, nè ai fratelli di lui, de’ quali temeasi la prevalenza, d’accompagnarlo. Finchè durava nella Magistratura, non potea comprar poderi, o contrar leghe nel paese governato, nè tam-

    ottimamente a conoscere questa forma di governo, e l’Oculus pastoralis, che trovasi in fine di tale Opera, è un trattato, o sermone sugli obblighi de’ Magistrati stranieri.

  1. Gli Autori latini, quelli almeno del secolo d’argento, aveano già trasportato dall’uffizio alla persona insignita di esso il vocabolo potestas.

    Hujus qui trahitur praetextam sumere mavis.
    An Fidenarum Gabiorumque esse POTESTAS.</>
    (Juven., Satir. XI, 99)