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dell'impero romano cap. lxix. 169


In una città priva di leggi, mancando di unione e vigore i consigli pubblici, dovettero ben tosto i Romani ricorrere ad una forma di amministrazione più semplice e vigorosa. Un solo Magistrato, o due al più, vennero insigniti di tutta l’autorità del Senato, e non rimanendo eglino in carica che sei mesi, o un anno, la breve durata del loro governo contrabbilanciava l’estensione de’ loro uffizj; pure i Senatori di Roma profittavano di questi istanti di regno per soddisfare la loro avarizia ed ambizione; per interessi di famiglia, o di parte, prevaricavano nelle loro sentenze; e non gastigando che i proprj nemici, sol fra i partigiani trovarono sommessione. Cotesta anarchia, non più temperata dalle pastorali cure del Vescovo, fece accorti i Romani della loro incapacità a governarsi da sè medesimi, onde cercarono di fuori que’ vantaggi che dai proprj concittadini sperare omai non potevano. Nel medesimo tempo, gli stessi motivi indussero la maggior parte delle italiane Repubbliche ad adottare un provvedimento, che comunque possa apparire stravagante, pure era, il più confacevole allo Stato cui si vedeano ridotte1; e fu quello di scegliere in una città estranea, purchè fosse confederata, un Magistrato imparziale, di famiglia nobile e d’illibato carattere, guer-

    sbyteria ... jurabimus pacem et fidelitatem, etc. Lo stesso autore ne offre ancora una chartula de Tenimentis Tusculani, che porta per data il quarantasettesimo anno della stessa epoca, e vien confermata decreto amplissimi ordinis senatus acclamatione P. R. publice Capitolio consistentis. Trovasi quivi la distinzione fra i senatores consiliarii e i semplici senatori (Murat., Diss. 42, t. III, p. 787-789).

  1. Il Muratori (Dissert. 45, t. IV, p. 64-92) ha data