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dell'impero romano cap. lxix. 163

città di Roma, e alle leggi de’ Barbari, aveano, senza accorgersene, formato un indigesto codice, ove una debole tradizione e imperfetti fragmenti conservavano la ricordanza delle Pandette di Giustiniano. I Romani avrebbero senza dubbio fatti risorgere colla loro libertà i titoli e gli uffizj de’ Consoli, se non avessero fastidito un titolo, di cui tanto prodigalizzarono le città italiane, che finalmente divenne il solo distintivo per indicare gli agenti di commercio ne’ paesi stranieri. Quanto ai diritti de’ tribuni, il cui nome, formidabile un giorno, bastava ad arrestare i pubblici consigli, questi suppongono, o debbono produrre una democrazia autenticata dalle leggi. Le antiche famiglie patrizie erano suddite dello Stato; i Baroni moderni, i tiranni, i nemici della pace e della tranquillità pubblica, che insultavano il Vicario di Gesù Cristo, non avrebbero rispettato per lungo tempo il carattere d’un magistrato plebeo privo d’armi1.

Ne fa or di mestieri osservare quegli avvenimenti che nel decorso del secolo dodicesimo, nuova Era per Roma ed epoca di una nuova esistenza, annunziarono o confermarono l’independenza di questa

  1. Il Gunther descrive ancora il sistema democratico immaginato da Arnaldo di Brescia:

    Quin etiam titulos urbis renovare vetustos;
    Nomini plebeio secernere nomen equestre,
    Jura tribunorum, sanctum reparare senatum,
    Et senio fessas mutasque reponere leges.
    Lapsa ruinosis et adhuc pendentia muris
    Reddere primaevo Capitolia prisca nitori.

    Ma alcune di tali riforme erano chimere, altre si riducevano a sole parole.