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una nuova costituzione; ma nel secolo dodicesimo, non eravi in Roma un antiquario, o un legislatore che fosse in istato di conoscere, e molto meno di ricondurre l’armonia e le proporzioni dell’antico modello. L’assemblea generale di un popolo libero e armato non può spiegarsi che con tumultuose e minaccevoli grida. Egli era ben difficile, che una cieca moltitudine, ignara delle forme e de’ vantaggi di un governo ben combinato, adottasse la division regolare di trentacinque tribù, l’equilibrio delle centurie calcolate colle sostanze dei cittadini, le discussioni fra gli oratori degli opposti partiti, il lento metodo de’ suffragi, messi ad alta voce, o per via di scrutinio. Arnaldo avea proposto il rinnovellamento dell’Ordine equestre; ma qual poteva essere il motivo, e quale la norma di una simile distinzione1? Come assoggettare a calcolo, colla povertà di que’ tempi, la quantità necessaria di censo per appartenere alla classe de’ Cavalieri? Non si abbisognava più degli uffizj civili, de’ giudici e degli appaltatori del fisco; i feudi militari e lo spirito di cavalleria teneano vece più nobilmente del dover primitivo degl’individui dell’Ordine equestre, vale a dire del servigio che, in tempo di guerra, dovean questi prestare a cavallo. La giurisprudenza della repubblica era divenuta inutile, nè vi avea chi la conoscesse. Le nazioni e le famiglie italiane che obbedivano alle leggi della

  1. Nell’antica Roma, l’Ordine equestre, soltanto sotto il consolato di Cicerone, che si dà merito dell’instituzione di quest’Ordine, divenne un terzo ramo della repubblica, prima composta unicamente del Senato e del popolo. (Plinio, Hist. nat. XXXIII, 3; Beaufort, Republ. rom., t. I, p. 144-155).