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dell'impero romano cap. lxix. 157

mente eccitato lo zelo di questi due Ecclesiastici, il nemico della Chiesa non trovò più partigiani, e ridotto a disperato partito, corse a Roma, ove a veggente del successor di S. Pietro innalzò lo stendardo della ribellione.

[A. D. 1144-1154] Cionnullameno l’intrepidezza di Arnaldo non andava disgiunta da prudenza, perchè si vedea protetto, ed anche chiamato. Tonò eloquentemente dai Sette Colli per la causa della libertà, e mescolando nei suoi discorsi i passi di Tito Livio e di S. Paolo, le ragioni del Vangelo e l’entusiasmo della libertà che gli autori classici inspirano, diè a divedere ai Romani, quanto e per la lor sofferenza, e pe’ vizj del Clero, avessero tralignato dai primi tempi della Chiesa e della Città. Li trasse colle sue esortazioni nel consiglio di ricuperare i loro diritti inalienabili d’uomini e di cristiani, a restaurare le leggi e i Magistrati della Repubblica, e a rispettar sì il nome d’Imperatore, ma a ridurre ad un tempo il loro Pastore a contentarsi del governo spirituale della sua greggia1. Pure nè manco questo Governo spirituale potè sottrarsi alle censure del Riformatore che insegnò al Clero inferiore, come dovesse resistere ai Cardinali, che aveano usurpata un’autorità dispotica su i ventotto rioni, ossia ventotto parrocchie di Ro-

  1. Arnaldo consigliava ai Romani,

    Consiliis armisque suis moderamina summa
    Arbitrio tractare suo: nil juris in hac re
    Pontifici summo, modicum concedere regi
    Suadebat populo. Sic laesâ stultus utraque
    Majestate, reum geminae se fecerat aulae.

    La poesia del Gunther qui s’accorda colla prosa di Ottone.