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dagli ultimi gradi della Chiesa, e che vestendo l’abito di monaco, ravvisava in esso la divisa della povertà anzichè quella dell’obbedienza, primo diede fiato alla tromba della libertà romana. I suoi nemici che più d’una volta ridotti a mal partito dall’ingegno e dall’eloquenza di un tal uomo, non gli poteano contrastar questi pregi, confessavano a proprio malgrado la purezza speciosa della sua morale, onde gli errori di Arnaldo, andando uniti ad utili ed importanti verità, faceano impressione nel pubblico. Negli studj suoi teologici era stato discepolo del famoso e misero Abelardo1, parimente caduto in sospetto di eresia; ma l’amante di Eloisa possedendo un’indole mansueta e pieghevole, coll’umiltà del pentimento i suoi giudici ecclesiastici disarmò. È cosa verisimile che Arnaldo abbia attinte alla scuola del suo maestro alcune definizioni metafisiche intorno la Trinità, contrarie alle massime de’ suoi tempi: vennero vagamente censurate le idee da esso manifestate circa al Battesimo e all’Eucaristia; ma ad una eresia politica dovette la sua fama e tutte le sventure alle quali soggiacque. Osò rammentare quel detto con cui Gesù Cristo divulgava non appartenere a questo

    175). Il Guilliman (De rebus helveticis, lib. III, cap. 5, pag. 108) copia il lungo tratto che a quest’eresiarca si riferisce.

  1. Il Bayle, trascinato dalla sua malnata inclinazione a buttare in giuoco tutte le cose, si è sbizzarrito con inconsideratezza e dottrina eguali, quando nel suo Dizionario critico è venuto agli articoli Abelardo, Fulbert, Eloisa. Il Mosheim con somma aggiustatezza ne racconta le dispute di Abelardo e di S. Bernardo intorno a diversi punti di teologia scolastica e positiva (Instit. Hist. eccles., p. 412-415).