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dell'impero romano cap. lxix. 143

i Vescovi e gli Abati del Settentrione e dell’Occidente a trasferirsi a Roma, per chieder grazie o portar querele, per accusare i loro nemici o per giustificarsi al Santuario de’ Santi Appostoli. Citavasi un fatto che vuol essere riguardato siccome una specie di prodigio; vale a dire che due cavalli, spettanti all’Arcivescovo di Magonza e all’Arcivescovo di Colonia, rivalicarono l’Alpi, carichi tuttavia d’oro e d’argento1: nondimeno non tardò molto a vedersi come il buon successo de’ pellegrini e de’ clienti, meno alla giustizia della causa che al valor dell’offerta2 fosse raccomandato. Cotesti stranieri faceano ostentato sfoggio di pietà e di ricchezze, e le loro spese, o sacre, o profane, per mille canali volgevansi all’utile de’ Romani.

Ragioni tanto possenti doveano mantenere il popolo di Roma in una volontaria e pia sommessione verso il suo Padre temporale e spirituale. Ma l’o-

    deplorano queste appellazioni che tutte le Chiese portavano innanzi al Pontefice romano; ma il Santo, che credeva alle false decretali, condanna solamente l'abuso di tali appella- zioni: lo Storico, più avveduto, rintraccia l'origine e combatte i principj di questa nuova giurisprudenza.

  1. Germanici ..... Summarii non levatis sarcinis onusti nihilominus repatriant inviti. Nova res! Quando hactenus aurum Roma refudit? et nunc Romanorum consilio id usurpatum non credimus (S. Bernard., De Consideratione, l. III, c. 3, p. 437). Le prime parole di questo passo sono oscure, e verisimilmente alterate.
  2. È già noto a’ dotti d’istoria civile ed ecclesiastica quanto grandi sieno stati i mali e gli abusi in ciò, e quante le cattive e ridicole consuetudini, che, contrarie alle vere idee della religione, influirono a corrompere in quel tempo la buona morale pubblica. (Nota di N. N.)