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dell'impero romano cap. lxix. 141

trimonio di S. Pietro. Oltrechè, il regno de’ Papi, gradevole alle pregiudicate opinioni de’ Romani, non era incompatibile colle loro libertà; e più sensate indagini avrebbero scoperta una sorgente anche più nobile del potere dei Papi, la gratitudine di una nazione che questi avevano tolta all’eresia e alla tirannide de’ greci Imperatori. Non è difficile a comprendersi come, in un secolo di superstizione, la potenza regia e l’autorità sacerdotale dovessero l’una all’altra prestarsi forza, e come le chiavi del Paradiso fossero pel Vescovo di Roma il mallevadore più sicuro dell’obbedienza ch’egli volea ottener sulla Terra. I vizj personali1 dell’uomo poteano, egli è vero, indebolire il carattere sacro del Vicario di Gesù Cristo; ma gli scandali del decimo secolo furono cancellati dalle virtù austere, e più pericolose, di Gregorio VII e de’ suoi successori; onde nelle lotte di ambizione2, che pei diritti della Chiesa sostennero, le sconfitte e i buoni successi li crebbero del pari nella venerazione del popolo. Vittime della persecuzione, furono veduti alcune volte errare nello squallore e nell’esilio; l’appostolico zelo, con cui si offerivano al martirio, non poteva a meno di commovere e conciliare ad essi gli animi di tutti i Cattolici. Tali altre volte, tonando dall’alto del Vaticano, creavano, giudicavano, rimovevano i Re della Terra; e il più orgoglioso fra i Romani non potea vergognare di sottomettersi ad un Sacerdote che vedea innanzi a sè i successori di Carlo-

  1. Vedi la nota di N. N. in fine del Volume.
  2. Il Teologo dice, che que’ contrasti ostinatissimi non derivano d’ambizione, ma da zelo. (Nota di N. N.)