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dell'impero romano cap. lxix. 139

pa1, e per autenticare la loro giurisdizione, metteano nelle mani del Prefetto della città la spada della giustizia; ma intanto il nome, le lingue e i costumi di un barbaro padrone ridestavano tutti i pregiudizj de’ Romani. I Cesari della Sassonia e della Franconia non erano che i Capi di una feudale aristocrazia, nè poteano adoperare quella disciplina civile e militare che sola assicura l’obbedienza di un popolo lontano, impaziente del giogo della servitù, benchè forse incapace della libertà. Una sola volta in sua vita, ciascun Imperatore attraversava le Alpi conducendo seco un esercito di suoi vassalli alemanni. Ho descritto il tranquillo cerimoniale del suo ingresso e della sua incoronazione; ma erane assai di frequente turbato l’ordine dai clamori e dalla sedizione de’ Romani, che si opponevano al proprio Sovrano come ad uno straniero che venisse ad invadere il lor territorio; sempre improvvisa, e spesso con vergogna per essi, accadeva la loro partenza. Se lungo era in appresso il lor regno, altrettanto durava la lor lontananza, e in questo mezzo, i Romani insultavano il potere imperiale e dimenticavano il nome degli Imperatori. I progressi dell’independenza nell’Alemagna e nell’Italia minarono le basi di questa sovranità, e il trionfo de’ Papi fu la liberazione di Roma.

  1. Il Muratori ne ha offerta la serie delle monete pontificie (Antiquit., t. II, Dissert. 27, pag. 548-554). Non ne trova che due anteriori all’anno 860; e noi ne abbiamo, da Leone III fino a Leone IX, cinquanta, nelle quali vedonsi il titolo e l’effigie dell’Imperatore regnante; nessuna di quelle di Gregorio VII, o di Urbano II, è pervenuta sino a noi; sembra però che Pasquale II non volesse permettere sulle proprie monete questo contrassegno di dependenza.