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dell'impero romano cap. lxviii. |
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i giuramenti rinovati a piè degli Altari, e all’atto della Comunione, nè la forza anche più imperiosa della necessità, valsero a calmare, o sospendere le domestiche loro querele. Ciascun d’essi mise a ferro e fiamme il territorio dell’altro, disperdendo in sì snaturata lotta le elemosine e i soccorsi venuti ad essi dall’Occidente, e adoperando il proprio potere unicamente ad atti barbari ed arbitrarj. Mosso dall’astio e dalle strettezze in cui si trovava, il più debole di essi ricorse al comune loro padrone; e quando fu maturo l’istante del buon successo e della vendetta, Maometto, chiaritosi l’amico di Demetrio, entrò con forze formidabili nella Morea. [A. D. 1460] Poi occupata Sparta, così disse al proprio confederato: „Voi siete troppo debole per tenere in freno una provincia sì turbolenta. Riceverò nel mio letto la figlia vostra, e voi passerete il tempo che vi rimane da vivere nella tranquillità, e in mezzo agli onori„. Demetrio sospirò, ma obbedì. Consegnate le Fortezze e la figlia, seguì ad Andrinopoli il suo genero e Sovrano, dal quale ottenne pel mantenimento proprio e della sua Casa una città della Tracia e le addiacenti isole d’Imbros, Lenno e Samotracia. Ivi il raggiunse nel successivo anno un suo compagno d’infortunio, Davide, ultimo Principe della stirpe de’ Comneni, il quale, fin d’allora che i Latini presero Costantinopoli, avea fondata sulla costa del mar Nero una nuova dominazione1. Maometto che continuava le sue conquiste nella Natolia, assediò con una squadra e un esercito la Ca-
- ↑ V. la perdita, o la conquista di Trebisonda in Calcocondila (l. IX, pag. 263-266), in Duca (c. 45), in Franza (l. III, c. 27), in Cantemiro (p. 107).