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dell'impero romano cap. lxviii. 117

Già i ricchi oggetti di cristiano culto che erasi potuto traslocare, non vi si trovavano più; vennero rinversate le croci, lavate, purificate e spogliate d’ogni ornamento le muraglie coperte di mosaici e di pitture a fresco. In quel giorno, o nel successivo venerdì, il muezin, ossia pubblico banditore, dalla sommità della più alta torre, gridò l’ezan, ossia pubblico invito a nome di Dio e del Profeta; l’Imano predicò, e Maometto II fece la namaz di preghiere e rendimenti di grazie su quell’Altar maggiore, ove poco prima erano stati celebrati al cospetto dell’ultimo de’ Cesari i misterj de’ Cristiani1. Uscendo del tempio di S. Sofia si condusse al palagio augusto, ove cento successori di Costantino aveano avuto soggiorno, ma deserto, e in poche ore spogliato di tutta la pompa imperiale; alla qual vista non potè starsi il vincitore dal meditare sulle vicissitudini dell’umana grandezza e dal ripetere gli eleganti versi d’un Poeta persiano.

„ Nelle sale dei regi ordisce intanto
„ Sue tele il ragno immondo, e dalle vette
„ Superbe d’Erasciab, infausto canto,
„ Sbattendo le negr’ali, il corvo mette2.

  1. Dobbiamo a Cantemiro (pag. 102) le descrizioni fatte dai Turchi sulla trasformazione della chiesa di S. Sofia in Moschea, acerbo argomento delle lamentazioni di Franza e di Duca. È cosa non priva di vezzo l’osservare, come una medesima cosa appare sotto aspetti contrarj a un Musulmano, e a un Cristiano.
  2. Il distico originale, da cui questi versi sono tradotti, vien riportato da Cantemiro, e trae nuova bellezza dall’applicazione che ne fu fatta. Così nel saccheggio di Cartagine, Scipione ripetè la profezia famosa di Omero. Parimente un egual sentimento di generosità trasportò la mente de’ due conquistatori sul passato o sull’avvenire.