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tocentomila lire sterline). Non mi soccorre miglior modo d’indicare il valore corrispondente in quel secolo ad una sì fatta somma del dire che pareggiava sette anni della rendita del regno d’Inghilterra1.

In questa grande vicissitudine politica, abbiamo il vantaggio di poter confrontare fra loro le relazioni di Villehardouin e di Niceta, i giudizj opposti che il Maresciallo di Sciampagna e il Senatore di Bisanzo portavano2. Parrebbe a primo aspetto che le ricchezze di Costantinopoli non avessero fatto altro cambiamento fuor quello di passare da una nazione ad un’altra, e che il danno e il cordoglio de’ Greci dal vantaggio e dalla gioia de’ Latini stati fossero pareggiati; ma nel funesto giuoco della guerra non è mai eguale alla perdita il guadagno, e a petto delle calamità sono deboli i godimenti. Illusorio e passeggiero fu il giubilo de’ Latini. Intanto che i

    tomila. I Veneziani aveano fatta la profferta di prendersi per sè tutto lo spoglio, indi sborsare quattrocento marchi a cadaun cavaliere, dugento a cadaun sergente, cento a cadaun soldato; contratto che non sarebbe stato vantaggioso per la Repubblica (Le Beau, Hist. du bas-Empire, l. XX, p. 506, non so poi su qual fondamento).

  1. Nel Concilio di Lione (A. D. 1295) gli ambasciatori d’Inghilterra valutarono la rendita della Corona, inferiore a quella del clero straniero, che ascendeva a sessantamila marchi annuali (Mattia Paris, p. 451; Hume Storia d’Inghilterra, vol. II).
  2. Niceta descrive in patetica guisa il saccheggio di Costantinopoli e le sciagure che personalmente il percossero (p. 367-369, e Status urbis C. P., p. 375-384). Innocenzo III, Gesta, c. 92 conferma perfino la realtà de’ sacrilegj deplorati da Niceta: ma Villehardouin non lascia scorgere nè pietà, nè rimorsi.