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dell'impero romano cap. lx |
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posta la sua tenda color di scarlatto sopra una vicina eminenza d’onde regolava e animava gli sforzi de’ suoi soldati. Uno spettatore intrepido e capace di gustare in tale momento la bellezza e la magnificenza di quella vista, avrebbe ammirato il vasto apparato di questi due eserciti ordinati in battaglia, ciascun de’ quali offeriva un fronte di una mezza lega all’incirca, formato da una banda dalle navi e dalle galee, dall’altra dai baloardi e dalle alte torri, il cui numero era aumentato da nuove torri di legno anche più alte e di molti piani composte. Incominciò l’assalto da scambievoli gittate di fuoco, di sassi, di dardi; profonde erano l’acque; i Francesi audaci; abili i Veneziani; i Latini furono sotto le mura, e sui ponti tremolanti, che univano le batterie mobili de’ Francesi alle batterie ferme de’ Greci, accadde terribil battaglia colla spada, coll’azza, colla lancia. Seguivano in un medesimo punto cento assalti diversi, tutti sostenuti con egual vigore fino al momento che, il vantaggio del sito e la superiorità del numero decidendo della vittoria, i Latini si videro alla ritirata costretti. Alla domane con egual valore e sfortuna di successo rinovarono l’assalto. Nella vegnente notte, il Doge e i Baroni tenner consiglio, unicamente dal pericolo pubblico spaventati; ma una voce non si innalzò che proferisse la parola di negoziazione, o di ritirata. Ciascun guerriero, giusta l’indole sua, non si fondò sopra altra speranza che di vincere o di gloriosamente morire1. Se l’esperienza del primo
- ↑ Il Villehardouin (n. 126) confessa che mult ere grant péril: e il Gunther (Hist. C. P. cap. 13) afferma che nulla