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dell'impero romano cap. lx 53

e dell’onore; disprezziamo l’usurpatore della Grecia, le sue offerte, le sue minacce. Noi dobbiamo amicizia, egli obbedienza, all’erede legittimo di Bisanzo, al giovine Principe che sta in mezzo di noi, e al padre di esso, l’Imperatore Isacco, a cui un fratello ingrato ha tolti il trono, la libertà, e persino il godimento di vedere la luce. Questo colpevole fratello confessi il suo delitto, implori la clemenza dell’uomo cui fece mortali offese; noi intercederemo, onde gli sia permesso di vivere nella pace e nell’abbondanza. Ma riguarderemo siccome insulto commesso contro di noi una seconda ambasceria, alla quale il ferro e il fuoco portati di nostra mano nel palagio di Costantinopoli, sarebbero la sola nostra risposta1„.

Dieci giorni dopo giunti a Scutari i Crociati, e come soldati, e come Cattolici, al passaggio del Bosforo si prepararono. Pericolosa impresa! Largo e rapido è questo canale; in tempo di bonaccia, la corrente dell’Eussino, potea portare in mezzo alla flotta, quel fuoco formidabile che si conosce sotto nome di fuoco greco; settantamila uomini schierati in battaglia stavano difendendo l’opposta riva. In sì memorabile giornata, che volle il caso contraddistinta da cheto aere e da cielo sereno, i Latini in sei spartimenti distribuirono il loro ordine di battaglia. Al primo, ossia all’antiguardo comandava il Conte di Fiandra, uno fra’ Principi cristiani de’ più poderosi, e temuto pel numero e per l’abilità de’ suoi balestrai; il fratello di lui Enrico, i Conti di S. Paolo

  1. Καθαπερ ιεερω, ειπειν δε και θεοψυτευτων παραδεισων εφειδοντο τουτωνι, come ad un sacro bosco parlavano, e risparmiavanlo quasi un giardino piantato da Dio. Niceta, in Alex. Comn., l. III, c. 9, p. 348.