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dell'impero romano cap. lxvi. | 493 |
nullameno sì diversi fra loro, che ponendoli in bilancia, darebbero luogo ad una interminabile controversia; pur qualche scintilla di libertà può uscire dall’urto di due opposte servitù. Queste due Sette divisero fra loro i Greci moderni, i quali sotto lo stendardo degli antichi maestri, con più di furore che d’intelligenza, si fecero guerra. I fuggiaschi di Costantinopoli scelsero Roma per nuovo lor campo di battaglia; ma non andò guari che i gramatici fecero entrare in questa filosofica lotta l’odio e le ingiurie personali: laonde Bessarione, comunque partigiano zelantissimo di Platone egli fosse, sostenne l’onore della patria, frammettendo i consigli e l’autorità d’un mediatore. La dottrina dell’Accademia, ne’ giardini de’ Medici, formava le delizie degli uomini colti e gentili; ma distrutta ben tosto questa filosofica società, il Saggio d’Atene non venne più consultato che negli scientifici gabinetti, intanto che il possente emulo del medesimo, rimase solo oracolo della scuola e della Chiesa1.
[A. D. 1447-1455] Ho descritto con imparzialità il merito letterario de’ Greci, ma gli è d’uopo confessare che la buona voglia de’ Latini li secondò, e fors’anche li superò. Sendo allora l’Italia divisa in un grande numero di piccioli Stati independenti, i Principi e le Repubbliche si disputavano l’onore d’incoraggiare e ricompensare le belle lettere. Nicolò V2, il cui merito fu infi-