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dell'impero romano cap. lxvi. 491

che quelli vi aveano introdotta. Ignari essendo del valore degli accenti greci, quelle note musicali, che pronunziate da una lingua attica e da orecchio attico udite, racchiudevano il segreto dell’armonia, non erano per essi, come per noi, che contrassegni muti e privi di significato, inutili nella prosa, incomodi nella poesia. Possedeano essi i veri principj della gramatica; onde rifusero nelle loro lezioni i preziosi fragmenti di Apollonio e di Erodiano; e i lor Trattati della sintassi e della etimologia, benchè sforniti di spirito filosofico, sono anche ai dì nostri di un grande soccorso agli studiosi. Nel tempo che le Biblioteche di Bisanzo si distruggevano, ciascun fuggitivo s’impadronì d’un fragmento del tesoro pericolante, di una copia di qualche autore, che senza di ciò sarebbe andata perduta. Queste copie vennero moltiplicate da diverse penne laboriose, e talvolta ingegnose, che ammendavano, ove era d’uopo, il testo, e aggiugnevano le loro interpretazioni, o quelle di antichi scoliasti. I Latini conobbero se non lo spirito, almeno il significato letterale degli Autori classici della Grecia. Le bellezze di stile sparivano in una traduzione; ma Teodoro Gaza ebbe l’intendimento di scegliere opere rilevanti per sè stesse

    personaggio di riscontro che un Vescovo o un Cancelliere. I Trattati dei dotti che corressero la pronunzia, e particolarmente di Erasmo, si troveranno nella Sylloge di Havercamp (due volumi in 8., Lugd. Bat., 1736-1740). Ma è cosa difficile additar suoni per via di parole, e la pratica delle lingue viventi ci fa conoscere che la pronunzia delle lingue non può essere data ad intendere che col fatto e dai nativi che parlano bene le medesime. Osserverò qui che Erasmo ha approvata la nostra pronuncia del θ, th (Erasmo, t. II, p. 130).