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teresse, i mentovati dotti coltivarono lo studio della lingua latina, alcuni di loro essendo pervenuti a scrivere e a parlare con eleganza e facilità questo idioma ad essi peregrino. Non quindi spogliatisi mai della nazionale vanità, le loro lodi, o almeno l’ammirazione riserbavano come in privilegio agli scrittori del loro paese, all’ingegno de’ quali la fama ed il vitto doveano; e la loro parzialità alcune volte svelavano con isconvenevoli critiche, o piuttosto satire contro i poemi di Virgilio, e le arringhe di Cicerone1. Non dee però tacersi che molta parte del merito per cui primeggiavano questi maestri del greco, diveniva loro dalla consuetudine di parlare in tale idioma, consuetudine che va per necessità unita alle lingue viventi: ma i loro primi discepoli non poterono discernere quanto avessero tralignato dalla scienza ed anche dalla pratica dei loro maggiori; e fu opera del senno della successiva generazione, il bandir dalle scuole la pronunzia viziosa2

  1. Francesco Florido ha conservati e confutati due epigrammi contro Virgilio, e tre contro Cicerone, chiamando l’autor di essi Graeculus ineptus et impudens (Hody, p. 274). Abbiamo avuto ai nostri giorni un Critico inglese, Geremia Markland, che ha trovata nell’Eneide multa languida, nugatoria, spiritu et majestate carminis heroici defecta, e molti versi ch’egli avrebbe arrossito di confessare per suoi (Praefat. ad Statii Sylvas, p. 21, 22).
  2. Emmanuele Crisoloras e i suoi colleghi sono stati accusati d’ignoranza, d’invidia e d’avarizia (Sylloge, ec., t. II, p. 235). I Greci moderni pronunciano il β come il ν consonante, e confondono le tre vocali η ι υ e molti dittonghi. Tale era la pronunzia comune, che il severo Gardiner, mettendo leggi penali, mantenne nell’Università di Cambridge; ma il monosillabo βη, ad orecchio attico, ricordava il belar di un agnello, e un agnello sarebbe stato senza dubbio miglior