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dell'impero romano cap. lxvi. 483

e passi greci per eccitare la sorpresa e l’ammirazione de’ suoi ignoranti contemporanei1. I primi passi nella instruzione sono lenti e penosi; ond’è che tutta l’Italia non somministrò in principio che dieci discepoli d’Omero, numero al quale nè Roma, nè Venezia, nè Napoli aggiunse un solo nome di più. Nondimeno gli studenti si sarebbero moltiplicati, e questo studio avrebbe fatto più rapidi progressi, se l’incostante Leone, in capo a tre anni, non avesse abbandonato uno stato onorevole e vantaggioso. Passando da Padova si fermò alcuni giorni in casa del Petrarca, cui tanto spiacque il carattere cupo e insocievole di quest’uomo, quanto l’erudizione lo soddisfece; malcontento degli altri e di sè medesimo, disdegnando la felicità di cui potea godere, Leone non si traeva mai volentieri coll’immaginazione che su gli uomini e gli oggetti lontani. Tessalo in Italia, Calabrese in Grecia, disprezzava alla presenza de’ Latini i loro costumi, la loro religione, la loro lingua, e arrivato appena a Costantinopoli sospirò la ricchezza de’ Veneziani e l’eleganza de’ Fiorentini. Voltosi nuovamente agli amici d’Italia, li trovò sordi alle sue importunità; nondimeno molto ripromettendosi dalla loro indulgenza e curiosità, si avventurò ad un secondo viaggio; ma all’ingresso del

  1. Il Boccaccio si permette una onesta vanità: Ostentationis causa graeca carmina adscripsi..... jure utor meo; meum est hoc decus, mea gloria scilicet inter Etruscos graecis uti carminibus. Nonne ego fui qui Leontium Pilatum, etc. (De genealog. Deorum, l. XV, c. 7). Quest’Opera, dimenticata oggi giorno, ebbe tredici, o quattordici edizioni.