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merito personale di cotesti uomini, non pensiamo però starci dall’osservare che la loro scienza era priva di scopo come di utilità; che era cosa facile ad essi l’appagare sè medesimi, e una turba di contemporanei anche più ignoranti di loro, i quali possedeano pochissimi manoscritti composti nella lingua da essi come per prodigio appresa, e che in nessuna Università dell’Occidente veniva insegnata. Rimaneano alcuni vestigi di questa lingua in un angolo dell’Italia, ove riguardavasi come lingua volgare, o almeno come lingua ecclesiastica1. L’antico influsso delle colonie doriche e ionie, non era affatto distrutto. Le Chiese della Calabria essendo state per lungo tempo unite al trono di Costantinopoli, i Monaci di S. Basilio, faceano tuttavia i loro studj sul monte Atos e nelle Scuole dell’Oriente. [A. D. 1339] Il frate Barlamo, che già vedemmo in figura di settario e di Ambasciatore, era calabrese di nascita, e per opera di lui risorsero oltre l’Alpi la memoria e gli scritti di Omero2. Il Petrarca e il Boccaccio3 nel dipingono uomo di piccola statura, sorprendente per erudizione

  1. In Calabria quae olim magna Graecia dicebatur, coloniis graeci repleta, remansit quaedam linguae veteris cognitio (Dottore Hody, p. 2). Se i Romani la fecero sparire, fu restaurata dai Monaci di S. Basilio, che nella sola città di Rossano possedeano sette conventi (Giannone, Istoria di Napoli, t. I, p. 520).
  2. Li barbari, dice il Petrarca parlando degli Alemanni e dei Francesi, vix, non dicam libros sed nomen Homeri audierunt. Forse in ordine a ciò il secolo XIII era men felice di quello di Carlomagno.
  3. V. il carattere di Barlamo nel Boccaccio (De geneal. Deorum, l. XV, c. VI).