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dell'impero romano cap. lxvi. 471

in tutt’altro luogo fuorchè nella Cattedrale di Santa Sofia. Eugenio superò le sue promesse e le loro speranze nelle liberalità usate, in generale e in particolare, verso de’ Greci. Con minor pompa e più umili se ne tornarono questi per la via di Ferrara e Venezia. [A. D. 1440] Nel successivo capitolo sapranno i miei leggitori quale accoglienza trovarono a Costantinopoli1. Il buon successo di questa prima impresa incoraggiò Eugenio a rinovare una scena così edificante; i deputati degli Armeni e de’ Maroniti, i Giacobiti dell’Egitto e della Sorìa, i Nestoriani e gli Etiopi, ammessi successivamente a baciare il piede del Santo Padre, annunziarono l’obbedienza e l’ortodossia dell’Oriente. Questi Ambasciatori, sconosciuti presso alle nazioni che si arrogavano di rappresentare2, giovarono a divulgare per l’Occidente la fama della pietà di Eugenio; e gridori ad arte sparsi, accusarono gli scismatici della Svizzera e della Savoia, siccome i soli che si opponessero alla perfetta unione del Mondo cristiano. Alla vigorosa loro resistenza, succeduta finalmente la stanchezza d’un inutile sforzo, e sciogliendosi per insensibili gradi il Concilio di Basilea, Felice giudicò opportuna cosa rassegnare la tiara, e tornarsene al suo devoto o de-

  1. Tornando a Costantinopoli, i Greci s’intertennero a Bologna d’Italia cogli Ambasciatori d’Inghilterra, i quali dopo alcune interrogazioni e risposte su tale argomento, risero della pretesa unione di Firenze (Syropulus, p. 307).
  2. Le unioni de’ Nestoriani e de’ Giacobiti ec., sono sì inconcludenti, o favolose, che invano ho scartabellata, per trovarne qualche vestigio, la Biblioteca Orientale dell’Assemani, schiavo fedelissimo del Vaticano.