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dell'impero romano cap. lxvi. 453

meno con un’apparenza di generosità, che Costantinopoli sarebbe stata inviolabilmente rispettata, ancorchè se ne fosse allontanato il Sovrano1. Ma chi gli fece più ricchi donativi, e diede più belle parole, vinse l’animo del Principe greco, che provava anche desiderio di allontanarsi per qualche tempo da un teatro di disgrazie e pericoli. Dopo essersi spacciato con un’equivoca risposta dai deputati del Concilio, fe’ nota la sua deliberazione d’imbarcarsi sulle galee pontifizie. Era vecchio assai il Patriarca Giuseppe, onde più fatto alle impressioni del timore che a quelle della speranza, e atterrito da’ pericoli che gli sovrastavano sull’Oceano, rimostrò come in un estraneo paese, la sua debole voce e quella di una trentina de’ suoi Prelati, correvano rischio di trovarsi affogate in mezzo alle più numerose e potenti de’ Vescovi, di cui il Sinodo latino andava composto. Nondimeno cedè ai voleri di Paleologo, alla lusinga datagli che sarebbe ascoltato come l’Oracolo delle nazioni, e alla segreta brama d’imparare dal suo fratello d’Occidente il modo di rendere affatto independente dai Sovrani la Chiesa2. Entrarono nel suo corteggio i cinque Croci-

  1. Lo stesso Franza, benchè per diversi motivi, era del parere di Amurat (l. II, c. 13). Utinam ne synodus ista unquam fuisset, si tantas offensiones et detrimenta paritura erat. Siropolo parla anche dell’ambasceria ottomana. Amurat mantenne la sua promessa; e forse minacciò (pag. 125-219), ma non assalì la città.
  2. Il lettore sorriderà sul modo ingenuo con cui il Patriarca fece note le concette speranze ai suoi favoriti: τοιαυτην πληροφοριαν σχησειν ηλπιξ, και δια του Παπα εθαρρει ελευθερωσαι την εκκλησιαν απο της αποτεθεισης αυτου δουλειας παρα του