Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XII.djvu/427


dell'impero romano cap. lxvi. 423

mini per dipingervi con quanto ardore io desideri questa unione de’ membri sparsi della Chiesa di Gesù Cristo. Se potesse a ciò contribuir la mia morte, offrirei con giubilo il mio capo e la spada mia per ferirlo; e se questa spirituale fenice dovesse nascere dalle mie ceneri, m’innalzerei la mia pira io medesimo e le metterei fuoco colle mie proprie mani„. In mezzo a questi discorsi però l’Imperator greco si prese la libertà di notare che l’orgoglio e l’inconsideratezza de’ Latini aveva inseriti quegli articoli di Fede, per cui le due Chiese divise trovavansi; biasimò la condotta servile e tirannica del primo Paleologo, protestando che non sommetterebbe mai la propria coscienza se non se ai liberi decreti di un Sinodo generale. „Le circostanze, egli continuava, son tali da non permettere nè al Papa, nè a me, di unirci o a Costantinopoli, o a Roma; ma ben può scegliersi una città marittima sui confini d’entrambi gl’Imperi per adunare i Vescovi e istruire i Fedeli dell’Oriente, e dell’Occidente„. Contenti a tali proposizioni si mostrarono i Nunzj; e Cantacuzeno ostentò il massimo dolore nel vedere le sue speranze distrutte per la morte di Clemente, e pel diverso animo del successor di Clemente. Cantacuzeno visse ancor lungo tempo, ma rinchiuso in un chiostro, d’onde l’umile monaco non potea, che con preghiere a Dio, adoperare influenza sulla condotta del suo pupillo e sui destini dell’Impero1.

[A. D. 1355] Ciò nulla meno di tutti i Principi di Bisanzo, niuno

  1. V. tutta questa negoziazione in Cantacuzeno (lib. IV, c. 9), che in mezzo agli encomj di cui largheggia alla propria virtù, svela le inquietudini di una coscienza colpevole.