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cerdote, possedeva almeno l’elevatezza o la magnificenza di un Principe, distribuendo colla stessa facilità i benefizj e i reami. Regnando esso, Avignone fu la residenza del fasto e dei piaceri. Giovine, avea superato in licenziosità di costumi qualunque Barone: Pontefice, il suo palagio e la sua stanza da letto vedeansi continuamente abbelliti, o disonorati1 dalla presenza di favorite. Le guerre tra l’Inghilterra e la Francia non permetteano si pensasse a Crociate; pur questo luminoso disegno lusingò la vanità di Clemente che deputò due Prelati latini per accompagnare gli Ambasciadori di Cantacuzeno in Grecia. Giunti a Costantinopoli, l’Imperatore e i Nunzj si fecero scambievoli complimenti sulla comune eloquenza e pietà; sicchè i continui lor parlamenti si aggirarono in lodi e promesse con cui si piaggiavano mutuamente senza fidarsene nè l’un, nè gli altri. „Non capisco in me per la gioia, il divoto Cantacuzeno lor diceva, in pensando alla nostra guerra santa; essa farà la mia gloria personale ad un tempo, e il bene di tutt’i Cristiani. I miei Stati offriranno agli eserciti francesi un libero e sicuro passaggio; i miei soldati, le mie galee, i miei tesori consagrati alla causa comune; e, oh come sarebbe invidiabile il mio destino, se giungessi a meritarmi ed ottenere la corona di martire! Mi mancano i ter-

    mente sformato, di Zampea, ed aveva accompagnata la sua padrona a Costantinopoli, ove rimase sola con essa. Gli stessi Greci non le poterono negar lode di donna prudente, erudita e cortese. Cantacuzeno (l. I, c. 42).

  1. Era opportuno il provare l’asserzione con una particolare citazione. (Nota di N. N.).