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dell'impero romano cap. lx 37

tutto il vigore del suo coraggio e del suo intendimento, il fervor d’un eroe bramoso di segnalare per qualche memorabile impresa l’epoca del suo regno, la saggezza di un cittadino infiammato dall’ardore di fondare la propria fama sulla gloria e la possanza della sua patria. Il valore e la fiducia de’ Baroni francesi e de’ lor deputati, ottennero da lui approvazione ed encomj: „S’io non fossi che un privato, rispondea loro, nel sostenere una sì bella causa, e in compagnia di tali campioni, bramerei terminare il corso della mia vita„. Ma nella sua qualità di magistrato di una Repubblica, li chiese di qualche indugio per consigliarsi in una bisogna di tanta importanza co’ suoi colleghi. La proposta de’ Francesi venne primieramente discussa nel consesso de’ sei Savj nominati di recente per vegliare all’amministrazione del Doge; indi portata ai quaranta Membri del Consiglio di Stato, poi comunicata all’Assemblea legislativa, composta di quattrocentocinquanta Membri, eletti ciascun anno ne’ sei rioni della città. E in pace, e in guerra, il Doge era sempre il Capo della Repubblica; ma il credito personale goduto dal Dandolo, di maggior peso l’autorità legale rendevane. Si ventilarono ed approvarono le ragioni da esso addotte per favorire la confederazione; indi gli fu conferita l’autorità di far note agli ambasciatori le condizioni del Trattato che si volea stipulare1. Giusta le medesime, i Crocia-

    il veneto Doge per conseguenza d’una ferita, perdè la vista (n. 34 e Ducange).

  1. V. il Trattato originale nella Cronaca di Andrea Dandolo p. 323-326.