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dell'impero romano cap. lxv. 395

intendeano alla prosperità e all’interno splendore de’ regni della Transossiana e della Persia, da lui riguardati come gli Stati ereditarj di sua famiglia. Ma le sue frequenti e lunghe lontananze, interrompevano e spesse volte struggevano l’effetto dei lavori da esso operati in tempo di pace; e intanto che trionfava sulle rive del Volga, o del Gange, i suoi servi ed anche i suoi figli, il lor padrone e i proprj doveri dimenticavano. Il tardo rigore de’ processi e delle punizioni, sol riparava imperfettamente i disordini particolari e pubblici; onde siam costretti a non ravvisare nelle Instituzioni di Timur, che il seducente disegno di una perfetta Monarchia. 4. Quali che possano essere state le beneficenze dell’amministrazione di Timur, colla morte del medesimo si dileguarono. I figli e nipoti di lui, più ambiziosi di regnare che di governare1, furono nemici gli uni degli altri, e nemici del popolo. Sarok, il più giovine di questi, sostenne con qualche gloria un fragmento dell’Impero; ma dopo la morte di lui, il paese ove regnò, fattosi prima teatro di stragi, cadde indi nella oscurità e nell’avvilimento; nè vôlto era un secolo, che gli Usbek del Settentrione e i Turcomani dalla Pecora bianca, e i Turcomani dalla Pecora nera aveano invasa la Persia e la Transossiana. La stirpe di Timur più non sarebbe, se un eroe, discendente della medesima al quinto grado, scacciato dagli Usbek,

  1. Vedansi gli ultimi Capitoli di Serefeddino, Arabshà e De Guignes (Hist. des Huns, t. IV, l. XX; Storia di Nadir-Sà di Fraser, p. 1-62). La Storia dei discendenti di Timur vi è superficialmente narrata, e mancano la seconda e terza parte di Serefeddino.