|
dell'impero romano cap. lxv. |
393 |
amare i suoi amici, e di perdonare ai suoi nemici; ma le regole della morale sull’interesse pubblico sono fondate, e basterebbe forse all’encomio della saggezza di un Principe il poter dire di lui, che le liberalità non lo impoverirono, e la giustizia ne aumentò le ricchezze e il potere. Certamente è debito d’un Sovrano il mantenere l’accordo fra l’ubbidienza e l’autorità, il punire l’orgoglio, il soccorrere la debolezza, il dar premio al merito, il bandire l’ozio e il vizio da’ suoi dominj, l’essere largo di protezione al viaggiatore e al mercatante, il frenare la licenza militare, favoreggiando le fatiche del coltivatore, l’incoraggiare le scienze e l’industria, e mercè una moderata ripartizione, aumentare le rendite senza crescere le tasse, i quali doveri ampio e pronto guiderdone retribuiscono al Principe che gli adempie; allorchè Timur ascese il trono, le fazioni, il ladroneccio e l’anarchia straziavano l’Asia. Sotto al governo di lui, un fanciullo avrebbe potuto, senza timore o pericolo, portare una borsa d’oro dall’oriente all’occidente del fortunato reame. Timur credeva che il merito di una tale riforma bastasse a giustificarne le conquiste e il diritto alla sovranità dell’Universo. Ma le quattro seguenti osservazioni ne gioveranno a calcolare quanto ei potesse pretendere la gratitudine de’ popoli, e forse a concludere che l’Imperatore Mongul fu il flagello, anzichè il benefattore, del Genere umano, 1. Allorchè la spada di Timur correggeva alcuni abusi, o alcune particolari tirannidi distruggea, il rimedio era infinitamente più funesto del male. Certamente la discordia, l’avarizia e la crudeltà de’ piccioli tiranni della Persia, opprimevano i loro sudditi; ma il riformatore schiac-