|
dell'impero romano cap. lx |
35 |
tempo lanciar nell’acque, allestire una flotta di cento galee, ch’essa adoperò a mano a mano contra i Greci, contra i Saracini, contra i Normanni, o in soccorso, che grande fu, de’ Francesi nelle loro spedizioni alle coste della Sorìa. Ma questa solerzia de’ Veneziani, nè cieca, nè disinteressata mostravasi. Dopo la conquista di Tiro, parteciparono al dominio sovrano di questa città, primo ricettacolo del commercio di tutto il Globo; e già scorgeansi nella politica del veneto Governo tutta l’avarizia di un popolo trafficante, e tutta l’audacia di una potenza marittima. Ma non fu mai che il consiglio l’ambizione non ne regolasse; e dimenticò rare volte, che, se la copia delle sue galee armate era conseguenza e salvaguardia di sua grandezza, il suo navilio mercantile le avea dato origine e la sostenea. Evitato lo scisma de’ Greci, non quindi Venezia un’obbedienza servile al Pontefice di Roma prestò; e l’abito di corrispondere cogl’Infedeli di tutti i climi, le fu schermo di buon’ora contra gl’influssi della superstizione. Il Governo primitivo di Venezia presentava una mescolanza informe di democrazia e di monarchia; pei suffragi di una generale assemblea eleggevasi il Doge; e questi, sinchè piaceva al popolo la sua amministrazione, regnava con fasto e con autorità ad un sovrano addicevoli; ma negli spessi cambiamenti politici occorsi, cotesti maestrati vennero e rimossi, e confinati in esilio, e talvolta anche morti per opera di una moltitudine sempre violenta, spesse volte ingiusta. Col secolo dodicesimo solamente incominciò quell’abile e vigilante aristocrazia, per le cui conseguenze ai dì nostri