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dell'impero romano cap. lxv. 373

le sue tende presso le rovine della sfortunata città di Sivas, il qual campo pareva avesse scelto a bella posta a teatro di sua vendetta. In questo mezzo, Timur, varcato l’Arasse, attraversava tutta l’Armenia e la Natolia, non omettendo veruna delle cautele suggerite dalla prudenza. Rapida, quanto ordinata, e retta da un’esatta disciplina fu la sua corsa. Era antiguardo la cavalleria leggiera, che oltre all’additare il cammino, esplorava accuratamente le montagne, ogni foresta, ogni fiume. Deliberato di combattere gli Ottomani nel centro del loro Impero, il Principe de’ Mongulli evitò destramente il lor campo, tenendosi alla sinistra; ed occupata Cesarea, e passato il deserto Salè, e il fiume Haly, la città di Angora strinse d’assedio. Intanto il Sultano, immobile nel suo campo, e ignaro di quanto accadeva, credea ragionar giusto nel paragonare il marciare, che è sì rapido, de’ Tartari a quello delle lumache1. Ma l’indegnazione il fornì ben tosto di ali per correre in soccorso di Angora; essendo impazienti di combattere così l’uno come l’altro Generale, le pianure di que’ dintorni divennero scena della memoranda battaglia che l’obbrobrio di Baiazetto e la gloria di Timur fece immortali.

[A. D. 1402] L’Imperatore de’ Mongulli dovette questa vittoria a sè medesimo, alla prontezza e alla sicurezza del suo

  1. Non è inutile il calcolare la distanza fra Angora e le città vicine colle giornate di carovana, ciascuna delle quali è di venticinque miglia. Da Angora a Smirne venti, a Kiotaia dieci, a Bursa dieci, a Cesarea otto, a Sinope dieci, a Nicomedia nove, a Costantinopoli dodici o tredici (V. i Viaggi di Tournefort al Levante, t. II, let. XXI).