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dell'impero romano cap. lx 33

potrebbero di leggieri giustificare. Il medesimo Carlomagno abbandonò tutte le sue pretensioni sulle isole del golfo Adriatico; Pipino, figlio di lui, ebbe mal successo in volendo superare le lagune di Venezia, troppo profonde, perchè la sua cavalleria potesse varcarle, ma non a bastanza per offerire alle sue navi ricetto; e sotto il successivo regno di tutti gli alemanni Imperatori, le terre della Repubblica veneta da ogn’altro paese italiano sonosi contraddistinte. Ma quegli abitanti imbevuti eransi dell’opinione generale dell’estranie nazioni, e de’ Greci loro sovrani, i quali siccome parte non alienabile dell’Impero d’Oriente li riguardavano1. Il nono e il decimo secolo somministrano prove e molte, e saldissime di tale dipendenza. Laonde i vani titoli e i servili onori della Corte di Bisanzo, cotanto ambiti dai loro Dogi, avrebbero invilite le magistrature di questo popolo libero, se l’ambizione de’ cittadini, e la debolezza di Costantinopoli non avessero per insensibili gradi sciolte le catene di questa dependenza medesima, che poi non era nè severis-

  1. Allorchè il figlio di Carlomagno armò i suoi diritti dì sovranità, i fedeli Veneziani gli risposero: οτι ημεις διπλος θελσμεν ειναι του Ρομαιων βασιλεως, perchè noi vogliamo essere secondi sudditi del Re dei Romani (Costantino Porfirogeneta, De admin. imper. part. II, c. 28, p. 85); tradizione del nono secolo che rende ragione de’ fatti del decimo, confermati dall’ambasceria di Liutprando di Cremona. Il tributo annuale che l’Imperatore permise si pagasse al Re d’Italia dai Veneziani, raddoppia la servitù di questi sotto aspetto di alleggerirla; ma l’odioso διουλοι vuol essere tradotto come nel chirografo dell’anno 827 (Laugier, Hist. de Venise, t. I, p. 67 ec.) co’ più miti vocaboli subditi o fideles.