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dell'impero romano cap. lxv. 359

Timur ad ardere la città di Astrakan e Siray, monumenti di una nascente civiltà. In questa spedizione si gloriò d’aver penetrato in un paese, ove regna il giorno perpetuo, straordinario fenomeno, in grazia del quale i dottori maomettani, crederono poterlo dispensare dalla preghiera vespertina1.

[A. D. 1398-1399] Allorchè Timur propose ai suoi Principi ed Emiri la conquista dell’India, o dell’Indostan2, un bisbiglio di scontento si udì; „e i fiumi! sclamarono; e le montagne! e i deserti! e i soldati armati di tutto punto! e gli elefanti che distruggono gli uomini!„. Ma la collera dell’Imperatore era cosa da temersi più di tutti questi pericoli; e la sua mente di una natura superiore gli facea comprendere la facilità di una spedizione che ad essi parea sì tremenda. I suoi messi segreti lo aveano ragguagliato della debolezza e dell’anarchia dell’Indostan, della ribellione dei Subà nelle province, e dell’infanzia perpetua del Sultano Mamud, da tutti sprezzato fin entro il suo Harem di Dely. L’esercito dei Mongulli marciò in tre

    Timur, e l’altro avea perduti ad Azoph i suoi tre figli e dodicimila ducati.

  1. Serefeddino dice semplicemente (l. III, cap. 13) che poteva appena discernersi un intervallo fra la sera e il mattino. Può facilmente risolversi questo problema, nella latitudine di Mosca posta al 56.°, col soccorso di un’aurora boreale e di un lungo crepuscolo: ma una giornata solare di quaranta giorni (Kondemiro, presso d’Herbelot, p. 880) ci restringerebbe a tutto rigore nel Cerchio polare.
  2. Circa la guerra dell’India, V. le Instit. (p. 129-139), il quarto libro di Serefeddino, e la Storia di Ferista in Dow, (vol. II, pag. 1-20) che offre idee generali sugli affari dell’Indostan.