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dell'impero romano cap. lxiii. 279

Il Petrarca1 in una lettera pubblicamente indiritta al Doge e al Senato, adopera la sua eloquenza a riconciliare le due Potenze marittime, da lui chiamate fiaccole dell’Italia. Celebra il valore e la vittoria de’ Genovesi, ch’ei riguarda siccome i più abili marinai dell’Universo, deplorando la sventura de’ Veneziani lor confratelli, li stimola ad inseguire col ferro e col fuoco i vili e perfidi Greci, e far monda la capitale dell’Oriente dall’eresia di cui la aveano infestata. Lasciati in abbandono dai loro confederati, aveano anche perduta ogni speranza di poter resistere i Greci, onde tre mesi dopo questa battaglia navale, l’Imperatore Cantacuzeno sollecitò, e pervenne a sottoscrivere un Trattato coi Genovesi, i cui patti erano un perpetuo bando de’ Catalani e de’ Veneziani, e il concedimento ai primi di tutti i diritti del commercio e poco meno che della sovranità. L’Impero romano (chi può non sorridere nel chiamarlo ancora con questo nome?) sarebbe divenuto ben presto una pertenenza di Genova, se alla ambizione di questa repubblica non avessero tarpate l’ali la perdita della libertà e la distruzione della sua flotta. Una lunga contesa di cento trent’anni, fu conchiusa dal trionfo della Repubblica di Venezia: e le fazioni intestine che dilaceravano i Geno-

  1. L’abate di Sade (Mémoires sur la vie de Petrarque, t. III, p. 257-263) ha tradotta questa lettera che egli avea copiata in un manoscritto della Biblioteca del Re di Francia. Benchè affezionato al Duca di Milano, il Petrarca non nasconde nè la sua maraviglia, nè la sua afflizione sulla sconfitta successiva de’ Genovesi, e sullo stato lagrimevole in cui si trovarono nel seguente anno (p. 223-332).