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dell'impero romano cap. lxiii. 275

fuori del porto, o lungo la riva, il Reggente e l’Imperatrice non trovarono il tempo che per pensare a difendere la Capitale. Il ritorno di Cantacuzeno sedò il pubblico spavento; ma egli inclinava a pacifici temperamenti, intanto che la fazione ad essi opposta, non voleva ascoltare partiti ragionevoli; onde si vide costretto a cedere all’ardore de’ suoi sudditi, che valendosi dello stile della Scrittura, minacciavano i Genovesi di metterli in polve, come vasi d’argilla, e intanto pagavano a stento le tasse imposte per la costruzione delle navi e per l’altre spese di guerra. Le due nazioni essendo padrone l’una della terra, l’altra del mare, Costantinopoli e Pera soffrivano egualmente tutti gl’incomodi di un assedio; i mercatanti coloniarj che aveano sperato vedere in pochi giorni definita questa contesa, incominciavano a lagnarsi delle loro perdite; la repubblica di Genova, straziata dalle fazioni, tardava ad inviare soccorsi; e i più antiveggenti abbracciarono l’opportunità di un vascello di Rodi per allontanare dal teatro della guerra le sostanze loro e le loro famiglie. All’aprirsi di primavera, la flotta di Bisanzo, composta di sette galee e d’alcuni piccioli navigli, mossa dal porto, si condusse tutta in una linea verso la riva di Pera, presentando incautamente il fianco alla prora degli avversarj. Non erano in quelle ciurme che contadini e operai, ignoranti delle cose di mare, e che nè manco aveano in compenso il coraggio naturale de’ Barbari. Spirava gagliardo il vento, grosso mostravasi il fiotto; per cui costoro appena videro la squadra nemica, immobile tuttavia, si precipitarono in mare, commettendosi ad un pericolo certo per evitarne un dubbioso. Nel tempo medesimo un