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dell'impero romano cap. lxiii. 271

tenea i Genovesi meglio soggetti, e gli esponea per l’altra agli assalti de’ Veneziani, rivali del loro commercio, e che sotto il regno del vecchio Andronico osarono insultare la maestà del trono di Costantinopoli. Appena i Genovesi videro avvicinarsi la flotta di questi nemici, colle loro famiglie e sostanze si ripararono nella città. Essendo stato incenerito dalle truppe sbarcate il sobborgo, il Principe pusillanime, spettatore dell’incendio, si limitò a farne tranquillamente le rimostranze al Governo veneto, mandandogli un’ambasceria. Ma i Genovesi traendo da questa passeggiera calamità un vantaggio durevole, ottennero il concedimento di innalzar mura forti intorno a Galata, di cingerle di fossa e introdurvi l’acqua del mare, di guarnire i baloardi di torri e di macchine da difesa, concedimento di cui ben tosto abusarono. Gli stretti limiti delle antiche abitazioni non bastando a contenere l’aumentata loro colonia, nuovi terreni a mano a mano acquistarono, sicchè i vicini poggi apparvero coperti di case villerecce, ed ancor di castella che congiunsero all’antico soggiorno, munendole di fortificazioni comuni con esso1. Gl’Imperatori greci, padroni dello stretto canale che può dirsi porta del mar interno, riguardavano il commercio e la navigazione

  1. Il Ducange descrive la fondazione e i progressi della colonia genovese a Pera o Galata (C. P. Cristiana, lib. I, pag. 68, 69), seguendo gli Storici di Bisanzo, Pachimero (l. II, c. 35, l. V, 10-30, l. IX, 15, l. XII, 6-9), Niceforo Gregoras (l. V, c. 4, l. VI, c. 11; l. IX, c. 5; l. XI, cap. 1; l. XV, c. 1-6) e Cantacuzeno (l. I, c. 12; l. II, c. 29 ec.).